sabato 24 maggio 2014

Difficolta' di apprendimento a scuola: il modello di RETE AFFETTIVA

Negli ultimi tempi il termine “dislessia” o la sigla “DSA” (disturbo specifico di apprendimento) hanno acquistato sempre maggiore popolarità all’interno del panorama sociale: ne sono testimonianza articoli di giornale, trasmissioni televisive, riviste specializzate o divulgative; sono aumentate iniziative quali corsi, serate formative e conferenze; sono stati prodotti nuovi strumenti informatici più o meno utili; da ultimo, è stata emanata una vera e propria legge a riguardo: la legge 170 del 2010. Possiamo in primo luogo definire la dislessia come un disturbo specifico dell’apprendimento caratterizzato da una difficoltà nella naturale acquisizione delle abilità scolastiche. Le difficoltà possono manifestarsi in modo più o meno coinvolgente a carico della lettura, scrittura o calcolo. Sono disturbi specifici perché si manifestano esclusivamente all’interno del dominio delle abilità scolastiche, senza coinvolgere processi di natura intellettiva, sensoriale, affettiva o psicologica. Per il bambino dislessico è necessario un notevole  sforzo per affrontare compiti che dovrebbero avvenire con una certa agilità: la lettura può essere lenta, affaticata,più o meno gravata di errori,spesso talmente impegnativa da impedire di cogliere il significato di quanto ha letto. Non si può stabilire in base a impressioni personali che un bambino che legge piano, sia realmente dislessico. Numerosi sono i fattori che intervengono ed è necessaria una valutazione specialistica. Chiaramente esistono indizi che meritano di essere approfonditi, ad esempio in età prescolare la presenza di difficoltà fonologiche  e meta fonologiche (rime, giochi sui suoni…), ritardata e difficoltosa acquisizione del linguaggio, o l’eccessiva fatica nei primi compiti di lettura proposti a scuola. Va chiarito che l’obiettivo principale di una valutazione degli apprendimenti è attribuire una cornice di senso alle difficoltà, cercando di capire perché l’apprendimento scolastico sia diventato così faticoso e intermittente. In alcuni casi è anche necessario considerare l’influenza di processi cognitivi e neuropsicologici come il ruolo della memoria,delle competenze linguistiche e percettive. Sono state emanate precise linee guida (Consensus Conference; Legge 170/10) sia relative all’iter diagnostico, sia relative alle figure professionali che possono gestire la problematica, in particolare neuropsichiatri infantili e psicologi. Una volta definito un quadro diagnostico chiaro, inizia il vero percorso che offre un senso all’intero processo: la presa in carico, all’interno della quale possono essere coinvolte anche altre figure quali logopedisti. In questo articolo utilizzeremo la definizione di “ presa in carico affettiva” per due motivazioni: da un lato per la necessaria considerazione del bambino nel suo insieme di persona con l’importante rapporto tra affetti e apprendimenti, tra funzionamento cognitivo ed emozioni, difficoltà scolastiche e ferite interiori; dall’altro lato perché è necessario da parte di colui che gestisce il caso (es. psicologo), lavorare con un investimento emotivo importante, non da confondersi con un collusivo coinvolgimento, ma con un prendersi a cuore, nel quale una quota di passione possa dare un valore aggiunto alla presa in carico, un “esserci in più” in situazioni critiche. La presa in carico ha come obiettivo la costruzione di una rete di persone quali insegnanti, genitori, specialisti e ragazzo compiti, se necessario. Il primo passo consiste nella condivisone del significato della difficoltà del bambino. In secondo luogo viene condiviso un piano di allenamento, un training per le specifiche difficoltà con cui quel tipo di dislessia si manifesta. Vanno poi considerati gli adattamenti scolastici, ovvero quell’insieme di strumenti, procedure, materiali che, senza incidere sul livello di difficoltà o di contenuto del programma, permettano di alleggerire il carico di letto/scrittura . Vale la pena concludere con una riflessione: software, chiavette, sintesi vocali, tavole pitagoriche, schemi, mappe ecc…, possono acquistare la loro piena valenza in un progetto di senso condiviso e all’interno di una relazione buona,  in cui lo strumento fornito non sia percepito come invalidante segnale di una differenza, di un inferiorità, ma come strumento evolutivo per accrescere il proprio potenziale.   Dott.ssa Elena Tironi Dott. Simone Algisi Studio Albero di Psiche - Seriate  

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